CARLO DONATI
"Natura morta con armatura"
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CARLO DONATI
Carlo Donati nasce a Verona nel 1894 ed è unanimemente considerato come uno dei maggiori artisti Veronesi di ogni epoca. L’elenco delle opere di Donati è lunghissimo. Per esempio, ricordando solo gli affreschi veronesi: cappella dei caduti di san Luca, nelle chiese di Caselle di Sommacampagna, di Azzago e a Cerro, pregevoli e ancora fresche realizzazioni dovute ad un misticismo che era la naturale predisposizione di Donati. Ed una realizzazione unica per un artista veronese: la complessa decorazione per la chiesa nazionale degli Italiani a Bucarest eseguita negli anni Venti su incarico del governo italiano: centinaia di volti (sembrano tutti ritratti) e, dietro, le facciate di altrettante centinaia di basiliche italiane. Accanto alla professione di frescante, richiesto e ricercato anche a livello internazionale – per la chiesa di Bleggio, paese natale del padre, fu lo stesso imperatore Franz Joseph a chiedere nel 1911 il suo intervento, seguito all’invito a lavorare ancora per le chiese di quello che era allora il Tirolo – Donati svolse una ricca ricerca come ritrattista ottenendo presto risultati importanti con il “Ritratto del cardinale Luigi di Canossa” presentato con successo alla Rassegna torinese del 1900, il “Ritratto dell’ingegner Rodolofo Angheben” del 1910, “Ritratto del re Vittorio Emanuele III” del 1917-18 o “Autoritratto con l’angelo della morte” del 1934; numerosi e rapidi acquerelli di paesaggi vicini al gusto di Moggioli e Rossi e un repertorio fra il laico e il sacro con il quale, a partire dal 1909, fu presente alle Biennali veneziane, insieme con la moglie Ildegarda Dalla Porta, raffinata esecutrice di cammei su avorio. Fino alla Biennale del 1935 alla quale non fu accettato perché la sua pittura fu giudicata vecchia, fuori tempo massimo. Ed è proprio da questo grave insuccesso pubblico che credo si debba partire per conoscere questo artista, alquanto isolato nel contesto cittadino, anche se i suoi venticinque anni di insegnamento presso la Scuola d’Arte hanno certamente influito su tanti giovani artisti e altrettanto fece la professione di frescante che abbisognava di assistenti: fra i più giovani suoi allievi ci furono Angelo Zamboni e Pino Casarini. Nella sue pitture ad olio il più importante risultato è sicuramente la “Via Crucis” realizzata per la chiesa di San Luca nel 1920 per incarico del parroco mons. Chiot, presentata a Venezia nel 1922 e unanimemente lodata: quattordici grandi stazioni in cui spicca la figura di Cristo vestito con il sagum, rozza veste di lana rossa imposta dai soldati al crocefiggendo, che occupa tutta la grandezza verticale di queste tavole rimaste in san Luca fino al 1978, quindi relegate nel centro monsignor Carraro e qui rimaste abbandonate fino alla mostra del 2000 in san Pietro in Carnario “Arte sacra a Verona – Carlo Donati, Agostino Pegrassi, Albano Vitturi” , voluta dal vescovo Flavio Roberto Carraro. Anche in questo capolavoro si avvertono gli intrecci europei che Donati, allievo di Napoleone Nani all’Accademia Cignaroli dove si diploma nel 1893, non sempre è stato in grado di assorbire e digerire: dal gusto Nazareno e dai puristi all’Art Nouveau, dallo jugendstil delle secessioni viennesi e monegasche, ad un ritorno al Quattrocento quando non a forme di tarda pittura gotica o neogotica. Diciamo che c’è un po’ di tutto e qualche volta con raggiungimenti modesti che giustificano l’esclusione dalla Biennale del 1935, anche se quella stessa giuria che non voleva Donati accettava altri artisti sicuramente meno di lui aggiornati. Ecco le parole dell’artista, proprio in merito alla sua ricca messe di affreschi e alle sue scelte ideali, se non ideologiche: «Ho rinunciato alle ricerche formali, compiacente ricchezza dell’artista, per dire semplicemente la verità. Dovevo dipingere per gli incolti, per gli indotti, per i contadini, per i fanciulli; ho dipinto tutto e tutti; la vita, la morte, la fede, i sacramenti, gli angioli e i santi, Cristo e la Vergine; ho dato pascolo agli occhi degli intendenti e degli ignari e se i raffinati mi hanno giudicato ingenuo i semplici mi hanno trovato chiaro». E alla “Fiorentina Primaverile” del 1922 in cui esponeva insieme con la moglie Ildegarda Dalla Porta, quattro opere “sacre” così di lui scriveva il presentatore come qualità specifica di Donati: «…saper trasportare in un’attualità palpitante anche fatti sacri, la cui trascendenza e solennità sembrerebbero essere remotissime, ormai, dello spirito così avvelenato di positivismo e tanto digiuno di sentimento poetico e favoloso della vita moderna. E tutto ciò si congiunge nel Donati ad una facoltà fuor della quale non esiste vera arte: l’efficacia e padronanza dell’espressione, l’evidenza e l’armonia della forma». Questa la storia di Carlo Donati in quegli anni, poi il progressivo isolamento dalla ricerca di una città che viveva con forza e originalità le esperienze della migliore ricerca artistica europea in Zamboni, Vitturi, Zancolli, Beraldini, Nardi, se gli consentì di conquistare premi come quello dei Virtuosi del Pantheon del 1929, e di ricevere fino alla fine dei suoi giorni commissioni per cicli frescali anche complessi, non gli consentì di aprirsi al nuovo che i tempi difficili che tutta Europa viveva maturavano nelle ricerche e nelle sperimentazioni degli anni del 900 dopo la grande crisi del 1929. Tuttavia, a distanza di tanti anni, il confronto del migliore Donati con tutti gli altri artisti italiani regge e pone questo artista, umile e semplice, fra i maestri del primo ‘900 Italiano. Carlo Donati muore a Verona il 4 Ottobre 1949.
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